di Enrico Zanon, Segretario del Circolo di New York

All’inizio di questo 2021 che sta per terminare ricorse il centenario dalla fondazione del PCI. Nacque così in me il desiderio di documentarmi sulla storia di questo partito che ebbe per molti decenni un’influenza determinante su quella del nostro Paese. Chiesi un suggerimento a mio papà che, dalla sua libreria, sfilò questo volume: Togliatti di Giorgio Bocca, stampato nel 1977.

Papà mi consigliò questo testo perché Giorgio Bocca, noto scrittore e giornalista per La Repubblica, non era comunista e quindi avrei potuto considerare questa narrazione come scritta con una certa obiettività e distacco.

Queste 680 pagine sono un avventuroso viaggio dentro storie strettamente interconnesse: quella del nostro personaggio ovviamente, del partito, del movimento comunista internazionale, dell’Italia e dell’Unione Sovietica. Certamente sono contento di aver letto questo libro per pure ragioni didattiche ma ci sono aspetti che mi hanno particolarmente colpito per gli insegnamenti che se ne possono trarre.

Innanzitutto, negli anni ’20, non ci si rese conto della gravità e dei pericoli den nascente movimento fascista: nemmeno dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti la preoccupazione fu massima e trovai sbalorditivo leggere quanto astio invece correva tra comunisti e socialisti. Questa è sicuramente la lezione più importante e attuale che ho trovato e che potrebbe riferirsi alla sinistra in Italia e altrove (a cominciare dagli Stati Uniti). Infatti purtroppo di divisioni nella sinistra se ne trovano in ogni periodo storico con effetti anche molto tragici.

Palmiro Togliatti fu chiaramente un politco dotato di inusuale intelligenza. Riuscire a sopravvivere durante quei primi vent’anni tra nuove dittature, esilio e il terrore stalinista è certamente un aspetto che stupisce. Per spirito di sopravvivenza dovette soprassedere ai propri principi e abbandonare amici al proprio destino. Ma, nonostante quello che vide in prima persona, rimase un convinto stalinista fin quasi alla fine e fece fatica a comprendere le agitazioni operaie che cominciavano ad apparire nei paesi dell’Europa orientale.

Sembra quasi che, a quei livelli, la politica sia avara di sentimenti: fin dall’inizio, Togliatti non esitò ad accantonare amicizie (si veda il suo rapporto con Antonio Gramsci) se lo trovasse opportuno.

Mi colpì anche quanto poco Togliatti conoscesse il valore della guerra partigiana e dell’importanza del contributo comunista alla lotta di liberaizione dal nazifascismo.

Togliatti fu anche al Governo e in una posizione chiave nell’Italia appena liberata: Ministro di Grazia e Giustizia. Ma questa posizione e il suo peso non furono sufficienti per defascistizzare l’appartato che – tipico del trasformismo italiano – rimase tale e quale e quindi i responsabili della tragedia italiana non furono perseguiti dalla magistratura mentre lo furono molti partigiani.

Infine lessi con curiosità del rapporto con Tito e delle vicende su Trieste e Gorizia: la fedeltà ai capi del movimento comusta collideva con le aspirazioni degli italiani (anche di quelli comunisti) della Venezia Giulia.

I fortunati che avessero ancora questo libro a casa ne abbino cura! L’ho trovato ancora molto interessante a 45 anni di distanza dalla sua pubblicazione.

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